Ed eccomi qui, a commentare Bridal Mask.
O meglio, Gaksitaaaaaaaaaaaal!
*va pronunciato gridando e battendosi il petto in maniera selvaggia, meglio se l’urlaccio è accompagnato da scuotimenti epilettici di testa, bava alla bocca e occhi iniettati di sangue… altrimenti non vale* Imbarcarsi nella visione di
Gaksitaaaaaaaaaaaal significa, senza ombra di dubbio, immergersi in
un’avventura epica, perché tutto, di questa storia bellissima e coinvolgente, tende al mito, al leggendario, al grandioso. Fino a che punto riesca a raggiungere questi obiettivi è una cosa di cui dirò in seguito, ma è importante precisarlo: Bridal Mask racconta la storia di un eroe, Gaksital, l’epopea di un popolo, quello coreano, alla disperata ricerca della propria indipendenza e tutta la brama e l’ambizione di un altro popolo, quello giapponese, votato - dopo anni di chiusura al mondo - all’espansionismo e al colonialismo su scala continentale.
Insomma, siamo chiaramente davanti ad
un prodotto che ha quasi del colossal, e che sicuramente si pone, sin dall’inizio, un bel po’ di gradini sopra alle produzioni “medie” dei drama made in Corea.
Ma Bridal Mask non è solo questo.
Oltre
all’epico, c’è anche l’umano. Anzi, a dire la verità, di umano la storia letteralmente trabocca.
È probabilmente questo il merito maggiore del drama: i sentimenti hanno tanta forza, tanta intensità e sono così universali, da diventare tangibili per lo spettatore e ineluttabili per i protagonisti, che ne sono letteralmente, e fatalmente, governati.
La voglia di riscatto, l’ambizione, l’amor patrio, la vendetta, l’affetto per un fratello, il coraggio di proteggere.
E ancora l’amicizia, l’odio, il rancore, il sospetto, la pazzia, il dolore.
Bridal Mask si nutre di ogni umana emozione e la amplifica all’infinito, facendola diventare totalizzante.
Ma entriamo nello specifico.
Anzitutto,
chi è Gaksital?
È una domanda che, in verità, tutti si fanno, presi un attimo in contropiede nello scoprire, fin da subito, che a quanto pare
NON si tratta del nostro bel protagonista! E che anzi, quest’ultimo sembra indossare con perfetto agio i panni del miglior crudele antagonista di sempre, dalla violenza facile e senza apparente coscienza né morale alcuna.
E allora?
Sarà mica l’innocente e puro maestro giapponese della scuola elementare della città, capace di intenerirsi di fronte agli occhioni e alle tenere gote dei bambini coreani e a provare un vero e proprio trasporto per un vaso da notte?
Ebbene
NO. Manco per sogno.
E allora? Siamo a un punto morto.
In realtà, i più scaltri e attenti, nonché i doramisti più navigati, non avranno impiegato molto a capire che dietro la maschera di Gaksital c’è uno dei personaggi più belli e sfaccettati di tutto il drama, uno dei miei favoritissimi. Trattasi di
Kang San, un uomo che, allo scopo di vendicare il proprio padre e di porsi al di sopra di ogni sospetto, si finge pazzo, demente. Un uomo che si fa carico di un fardello enorme, che chiude nel suo cuore, disposto ad ogni sacrificio per onorare la sua causa. Kang San vede il proprio fratello schierarsi dalla parte di chi li ha resi orfani di padre, lo vede lavorare per i demoni giapponesi e vessare il loro stesso popolo nel nome di un imperatore straniero. E non può fare a meno di amare quel fratello, di provare l’incontrollabile istinto di proteggerlo, anche a costo di sacrificare sé stesso.
Al personaggio e, non meno importante, all’interpretazione dell’attore, va il mio spassionato 10 e lode. Nella scena in cui
piange la madre appena morta stringendola tra le braccia, colpendosi convulsamente il volto, costretto ad interpretare anche in quel momento così tragico il Kang San insano, il mio cuore ha avuto un fremito e un trasporto totale per questo eroe incapace di uscire dalla gabbia che egli stesso si è dovuto forzatamente creare.
Semplicemente splendido.
Ma nel momento stesso in cui l’identità di Gaksital viene rivelata, appare da subito chiaro che le cose sono destinate a cambiare, se non altro
per l’ordine in cui il cast appare elencato su wikipedia.
E tuttavia il cambiamento che una serie di tragici eventi innescano, ha forse portata ben più ampia di quella che ci si potrebbe inizialmente immaginare: ogni cosa è destinata a cambiare, tanto che, come qualcuno ha già detto, se si confrontassero le prime puntate con le ultime, senza sapere ciò che c’è nel mezzo, si faticherebbe a credere che si tratti dello stesso drama.
Forse fin troppo.
Arrivati ad un buon terzo del drama, ci si convince infatti di aver afferrato la natura dei protagonisti, la loro più intima essenza; e invece tutto viene sconvolto: nel momento in cui
Kang To indossa la maschera di Bridal Mask,
è come se la bussola della storia impazzisse, come se il filo conduttore di annodasse inestricabilmente, arrivando a stringere e a soffocare Lee Kang To e Kimura Shunji.
Se c’è un punto su cui mi trovo perfettamente d’accordo con Normy è proprio questo.
Mentre Kang To subisce una trasformazione a seguito di una realtà rivelata, in preda al rimorso per ciò che egli stesso ha fatto al fratello, per il dolore causato alla sua famiglia e per estensione alla sua gente, il cambiamento di Shunji è fin troppo violento e drastico, perché il personaggio perderà ogni umano sentimento che l’ha caratterizzato fino a quel momento, e sarà rimpiazzato da un’entità crudele, spietata, violenta, in maniera il più delle volte gratuita. I sogni, le aspirazioni del maestro Kimura saranno completamente cancellate e sostituite da una rabbia cieca che ne fa, è vero, uno tra i migliori cattivi che la storia doramica ricordi, ma a tutto svantaggio, in virtù del suo passato, della sua caratterizzazione, che poteva vivere di una maggiore dicotomia, di una maggiore e più lancinante tensione emotiva tra ciò che era stato e ciò in cui si sarebbe ben presto trasformato. A mio avviso il suo personaggio ne avrebbe incredibilmente giovato e, checché ne dicano psicologi, psichiatri e pazzologi vari, guadagnato in realismo.
Con ciò non metto assolutamente in discussione l’interpretazione di Park Ki Woong, che anzi, riesce comunque a regalare al personaggio, in barba alla sceneggiatura, uno spessore e un’intensità che altri attori (non facciamo nomi
) avrebbero potuto buttare al secchio, con buona pace di tutti. Invece lo Shunji di Ki Woong
è folle, rabbioso, violento, spietato, ossessionato in modo maniacale dalla sola Mok Dan,
a tal punto da essere incapace di empatizzare con lei, di capirne realmente i sentimenti, il dolore, il cuore.
Che poi… la vogliamo porre questa benedetta questione dell’amore?
Non è un caso che io non l’abbia nominato, all’inizio di questo commento, tra i sentimenti che muovono le fila del drama. Non è un caso perché, secondo me,
l’amore sta a Bridal Mask come la sobrietà sta al carnevale di Rio: non è di casa
non c’entra una beata mazza.
Analizziamo nello specifico:
-
Shunji ama Ester (nient’altri che Mok Dan), un’infermiera che, anni prima, l’aveva aiutato a curare la propria Tata e che, ci viene fatto capire, dopo quell’episodio lui non ha più rivisto. Insomma, sospiri e immenso languore al sol ricordo di una tizia vestita da suora che avrà incontrato per qualche giorno e che, per altro, a sua volta moriva dietro al ricordo di un terzo uomo… ma rimaniamo su Shunji. Perché? Come è possibile? È vero che siamo nel fantastico mondo dei drama ma, come ha detto Normy, Shunji stesso si augurava che quella ragazza fosse riuscita ad incontrare l’uomo che le aveva regalato il pugnale e lo diceva anche con una certa sorridente e malinconica rassegnazione. La domanda è dunque la seguente:
come si passa da qui all’ossessione?
Non è dato saperlo.
-
Mok Dan ama…
ama… chi cacchio ama ‘sta donna?
Di sicuro sappiamo chi schifa:
Lee Kang To.
Lo sappiamo dal momento zero del drama e ce lo ricorda Mok Dan stessa in tutte quelle occasioni in cui lui è a portata di sputo e che lei non manca di cogliere e, infine, se ciò non fosse sufficiente,
è lo stesso Kang To che ci mette del suo, torturando a turno Mok Dan e il di lei padre.
Ma parlavamo di amore. Mok Dan pare amare l’uomo che le ha regalato un pugnale, pregandola di restare viva e di aspettarlo, perché un giorno si sarebbero sicuramente ritrovati. E lei lo fa. Fin qui non ci sarebbe niente di doramicamente inusuale. Peccato che Mok Dan sia una dall’immaginazione facile, una di quelle che si fa certi film da premio nobel, e così decide che
Gaksital, che le ha per due volte salvato la vita, sia proprio il suo grande amore. Cosa per altro non vera, almeno fino alla puntata 7.
E poi, cosa succede, dulcis in fundo? Quando scopre che l’uomo che si cela dietro la maschera di Gaksital
non è altri che quello a cui ha giurato eterno odio, improvvisamente lei lo ama.
La verità è che Mok Dan si innamora di Gaksital, dell’idea stessa di Gaksital, con buona pace dell’uomo del pugnale, e poco importa se lì sotto ci sia l’amore della sua infanzia, suo nonno o Tonio Cartonio. Lei lo ama. E dimentica in un baleno, senza un minimo di tormento interiore,
tutte le atrocità che costui ha compiuto.
Una donna, un unico, incrollabile amore.
-
Kang To ama Bun Yi (parliamo sempre di Mok Dan, per i distratti).
O meglio, continua ad evocarne il ricordo nel proprio cuore, dato che la crede bella che morta in un campo di frumento. Quando capisce che è viva, il sentimento sopito torna prepotente nel suo cuore. E vabbè, diciamo che questo ci sta.
La domanda stavolta è però la seguente: dato che Mok Dan è la punta del triangolo amoroso, dato che i due protagonisti spasimano per lei sin dalla tenera età, il suo personaggio è importante e determinante ai fini della storia? Ma assolutamente no.
Anzi, è terribilmente inutile. Lo sanno tutti.
Lo sanno persino regista e sceneggiatore, che nella fase di maggior climax della storia la parcheggiano in panchina, per concederle solo delle fugaci e scialbe apparizioni, di cui, sinceramente, si potrebbe fare perfettamente a meno. Mostra una qualche utilità solo
nello sciogliere il nodo finale,
non sufficiente però a giustificarne la presenza nelle 27 precedenti puntate. E non solo, come se non bastasse, le oppongono un personaggio femminile, quello di Lala, che le fa il pelo e contro pelo quanto a carattere, complessità e, non in ultimo, recitazione.
Tanto il personaggio di Mok Dan è tediosamente bidimensionale e romanticamente idealizzato, quanto quello di Lala è accuratamente sfaccettato. Tanto l’una si lascia trasportare dalla corrente, odiando e amando a casaccio, quanto l’altra è capace di plasmare il proprio destino, di prendere decisioni coraggiose e di distaccarsi da ciò che le è stato insegnato e dall’ambiente in cui è cresciuta.
Insomma, nel momento stesso in cui l’antagonista fa nera la protagonista, è evidente che la storia d’amore non possa che far acqua da tutte le parti.
E purtroppo
il vero tallone d’Achille del drama è proprio la lovestory: fosse stata di altra levatura, avrei immensamente apprezzato, figuriamoci, ma in questi termini… be’, potevano risparmiarsela, diciamocelo. O quanto meno avrebbero potuto relegarla al ruolo marginale che ha in altri drama
(in questo, ad esempio, i giapponesi sono maestri, ma si sa, i coreani devono mettercela a forza…), senza cercare di farci credere che fosse in qualche modo determinante.
Insomma,
cerchiamo di tirare le fila, altrimenti potrei continuare a sproloquiare all’infinito:
Bridal Mask è un drama bellissimo, avvincente e coinvolgente, ma che per me
non raggiunge la perfezione, perché, oltre a quanto detto sopra, soffre di coreana ripetitività
(innumerevoli le scene, tanto per fare un esempio, della stanza delle torture con frusta, ferri incandescenti, gabbia di chiodi, interrogatori, veri o finti che fossero, fuga o morte) e di altrettanto coreano “allungaggio” del brodo, anche se meno di altri drama ben più brevi, quindi tutto sommato assolutamente sopportabile.
È un drama che va visto, anche solo per l’interpretazione della maggior parte del cast, che impreziosisce il tutto, un drama che mi ha emozionata in momenti inaspettati e lasciata un po’ fredda in quasi tutte le scene d’aMMMore (?) ma che, purtroppo, non concretizza al 100% tutte le sue immense potenzialità, perdendo qualche colpo qui e lì!
Voto:
8,5.