| Premessa: ho votato The Devil (Mawang)... E tutte le doramiste in coro: “Ma no, non mi dire, davvero?” XD ormai lo sanno anche i sassi che questo è il mio drama del cuore. Sì, ma perchè è il preferito? Perchè mi piace la bella faccia di Joo Ji Hoon? Perchè mi piace il mistery? No. Lui è un gran bel pezzo di figliolo (pure Hum Tae Woong, l’altro protagonista), e il giallo è un genere che apprezzo, ma ciò che ha reso unico Mawang ai miei occhi è l’insieme perfettamente amalgamato di trama, personaggi, recitazione e realizzazione. Tra l’altro questo è stato il mio primo drama coreano, quando lo iniziai non avevo mai sentito nemmeno una parola in quella lingua, non avevo idea di chi fossero gli attori, nè conoscevo k-pop e simili. Tutto nuovo. Così come con Maou, la versione giapponese vista poco dopo; quando l’ho seguita, Ohno e Toma non sapevo chi fossero, che il primo facesse parte di un gruppo musicale lo scoprii addirittura parecchio più avanti. Questo per chiarire che non partivo nè con aspettative nè con preconcetti, e ancora oggi non ne ho. Entrambe le versioni sono belle, però The Devil è un altro pianeta. Mi scuso se non entrerà tutto in un solo post ciò che voglio dire, spero di non tediarvi XD ma intanto parliamo in generale, per scendere nei particolari ci sarà tempo dopo.
Di solito non mi piace paragonare due drama (o film, o libri), perchè credo che ogni storia vada vista di per se, giudicata singolarmente, ma ci sono delle eccezioni, e questa è una di quelle. La trama alla base di Mawang e Maou è la stessa, quindi un confronto è inevitabile. Confronto da cui Maou esce perdente, soprattutto per colpa del team sceneggiatore/regista. Il cast ha ben poche colpe, sia Toma che Ohno hanno fatto quello che potevano, ma se c’è una storia superficiale e mal gestita (solo un pallido ricordo di quella di Mawang), non ne sono loro i responsabili. Che potevano fare di più, quando una sceneggiatura miope li costringeva spesso a dialoghi grotteschi? Quando le scene sembravano girate da qualcuno con la videocamera di casa? Niente, e anzi mi complimento con loro, anche perchè hanno avuto il coraggio di confrontarsi con due attori (Joo Ji Hoon e Hum Tae Woong) assolutamente strepitosi nei loro ruoli. Sì, perchè Maou è il remake giapponese di una storia coreana, The Devil. Quindi il pubblico (a grandi linee) già sapeva chi era l’avvocato, chi era il detective, cosa li unisse e cosa li dividesse. Non dico certo che i due coreani siano i migliori attori al mondo, sarei ingiusta se lo facessi, anche loro hanno fatto parti belle e parti meno belle, ma in questo drama in particolare sono stati perfetti, hanno tirato fuori un’interpretazione talmente intensa da far tremare chiunque volesse emularli, quindi tanto di cappello a Ohno e Toma per averci provato. E non hanno sfigurato, se la sono cavata bene, ma credo fosse impossibile per chiunque arrivare a certi livelli. Non in quella storia. Insomma, i ragazzi giapponesi sono stati bravi, anche se i coreani restano insuperabili.
In cosa, allora, il confronto tra Mawang e Maou si fa stridente? Sulla cosa principale, alla base di tutto: la trama e i personaggi. Che in Mawang sono di un tale realismo, di una tale profondità, inseriti in un racconto sconvolgentemente verosimile, da risultare più veri del vero. Mi rendo conto che probabilmente non è una storia per tutti, tanti semplicemente non la capiscono, e non gliene faccio una colpa; ricordo bene che alla sua uscita in Corea il drama fu snobbato dal grande pubblico, che gli preferì la solita commedia romantica (in quel caso Witch You Hee), perchè era una storia più facile, comoda, semplice da seguire, di quelle che non ti fanno porre domande scomode, che non ti impongono riflessioni esistenziali. Ci è voluto un pò perchè i coreani capissero che perla fosse The Devil (cosa oggi ammessa da tutti). Infatti non è una storia come le altre, non ha nulla del “normale” drama di vendetta, nè del “normale” drama giallo, diverso nei tempi e nei modi. E’ un racconto complesso e ambizioso, che non è mai sceso a patti col pubblico, non è stato modificato per correre dietro all’audiance, cosa di cui non ringrazierò mai abbastanza i produttori, i quali hanno caparbiamente continuato a raccontare le cose come le avevano pensate. E si vede: niente buchi di sceneggiatura, niente dialoghi melensi, niente angst inutile.
Perchè, riflettiamo, cos’è The Devil? Un romantico? No, la storia d’amore (dolcissima) ha un ruolo marginale. Allora un mistery? No, non esattamente, è anche un giallo, ma non solo; se fosse così, avremmo saputo chi sono i responsabili di tutto solo alla fine, invece già dalle prime puntate si capisce bene cosa c’è dietro. Allora forse The Devil è una storia di vendetta? No, non solo. E’ anche questo, ma la vendetta resta comunque in secondo piano. Al centro della narrazione ci sono la mente e il cuore dei due protagonisti, il loro passato, il presente, le ferite micidiali che hanno subito e inferto agli altri, i loro pensieri. In ultima analisi, Mawang è un dramma psicologico, quello che di solito chiamano “human drama”, dramma umano, perchè è lì il centro di tutto, lo scavo nell’anima dei personaggi. Senza sconti per nessuno, senza stucchevoli buonismi, ma anche senza acredine e giudizi.
Perchè Mawang non dà giudizi, lascia che a trarre le conclusioni sia chi guarda. Il drama racconta la storia, tutta, cose belle e cose brutte, poi sarà il pubblico a capire chi sia davvero il diavolo del titolo, se chi sembrerebbe, o magari qualcun altro. Già, ma che cos’è la colpa? In ultima analisi è questo l’interrogativo più profondo e scomodo che ti lascia la visione, chi è davvero colpevole in questa intricatissima vicenda? Chi manovra tutto? Certo, apparentemente è così, ma in realtà chi lo ha messo in quella condizione? Un altro, quindi è lui il colpevole, ha dato inizio a tutto. Sì, però chi lo ha costretto a fare certe cose? Altri ancora, e il cerchio della colpa si allarga. I protagonisti sono sia vittime che carnefici, ma il vero diavolo è altrove, alla fine sono solo poveri ragazzi intrappolati in un meccanismo perverso che non hanno creato, e che rischia di stritolare tutto nelle sue maglie. Come finirà è da vedere, da capire. Un finale perfetto e “disturbante”, che lascia stremati come dopo una lunga corsa. Ma che risponde a tutte le domande.
E poi Mawang è un drama colto, nonchè un tributo pieno di amore verso l’Occidente, con le sue citazioni dotte (Dante, Rodin, La porta dell’inferno, Faust, Edipo), con i suoi rimandi biblico/cristiani (come la riflessione sul concetto di colpa ed espiazione, sulla condanna e il perdono), con dialoghi curatissimi. Ogni frase ha almeno due piani di lettura, e infatti rivisto una seconda volta, lungi dal perdere interesse, ne acquista, perchè anche frasi apparentemente “normali”, riviste col senno di poi, schiudono un mondo. Soprattutto quando a parlare è l’avvocato, le parole come pietre, che tagliano come una lama. Tutto questo le riempie 20 puntate, non c’è una sola parte inutile, anzi persino i silenzi parlano. Certe scene solo con la musica di sottofondo, lungi dall’essere riempitivo, chiariscono (a volte meglio di un discorso) l’anima dei protagonisti, ce li mostrano senza maschere. E’ difficile stare dietro a una tale messe di cose, per questo dico che forse Mawang non è un drama per tutti, non è di certo adatto ad essere visto una puntata ogni tanto come riempitivo, richiede invece attenzione, concentrazione. Chiede molto, ma dà molto, se gli si permette di parlare.
E Maou? Cosa resta di questa complessa ragnatela nella versione giapponese? Poco, pochissimo, purtroppo. La trama diventa una semplice storia di vendetta, i personaggi perdono spessore, della loro anima si parla troppo poco. Resta il giallo, il mistery, l’inseguimento al gatto e topo, restano i morti (anzi, aumentano), ma la psicologia dei protagonisti si appiattisce. Non è necessariamente un male, se non si è visto The Devil, ci si può accontentare anche solo della parte azione/vendetta, veloce e scattante, ma si perde tanto. La trama diventa “un bel giallo”, ma non ha più quella forza dirompente che sconvolge anche chi guarda, che aveva nella versione coreana. Non solo per una mera questione di tempi (Maou è più breve di Mawang), ma anche e soprattutto per colpa di una regia approssimativa e di una sceneggiatura imbarazzante. Si poteva togliere ben altro che non la parte psicologica, si potevano mettere meno morti, sfrondare alcune azioni, ma lasciare l’analisi dei personaggi, quel mostrarceli “nudi” e senza inganni che rende la storia originale tanto unica. Si potevano persino cambiare un pò le carte in tavola, ispirarsi e poi creare una storia propria... Tutto, ma non quello che hanno fatto. Così è solo una brutta copia, mentre poteva essere una diversa lettura della stessa trama. Peccato, un’occasione persa. Ma Ohno e Toma sono stati più che dignitosi, hanno dato tanto col poco che avevano in mano, i miracoli non li potevano fare.
Continua (se vi va...) XD
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